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Benché in linea di principio la religione cristiana non sia ostile alla cultura, ugualmente non si può negare che attribuisca soltanto un valore subordinato a tutti i beni di questa vita terrena. Il valore del mondo intero non è grande quanto quello della perfezione del regno dei cieli, del perdono dei peccati e della vita eterna nella comunione con Dio. Sotto questo aspetto, la religione cristiana si oppone frontalmente alla visione del mondo assunta dall’uomo moderno e non è né adatta né pronta al compromesso. È in gioco nientemeno che il bene supremo dell’uomo.

Perciò non solo il cristianesimo è accusato, oggi, di opporsi alla cultura del passato piuttosto che di approfondirla e di assumere nei suoi confronti un atteggiamento di ostilità e rifiuto, ma si va oltre dichiarando che ha fatto ormai il suo tempo e che non può essere un fattore determinante rispetto allo sviluppo del futuro. Se la cultura moderna deve progredire, deve respingere completamente l’influenza del cristianesimo e rompere completamente con l’antica visione del mondo: dev’essere inaugurato un Kulturkampf al cui confronto quello di Bismarck contro i gesuiti fu un gioco da ragazzi!

Saggio introduttivo al libro Santi di mondo di Philip Ryken di prossima pubblicazione dall’editore Alfa & Omega

Si dice che il polo sia lo sport dei re. Svago molto più popolare, invece, è il lancio del fango. In particolare, infangare i puritani è stato per molto tempo il passatempo preferito su entrambe le sponde dell’Atlantico. Siccome l’immagine che la maggior parte delle persone ha dei puritani è tuttora imbrattata da molto di quel fango, bisognerà scrostarla almeno un po’.

La stessa parola “puritano”, in effetti, nasce già lorda di fango. Coniata nei primi anni ’60 del XVI secolo, fu sempre un’etichetta infamante, un’espressione satirica che denotava scontrosità, atteggiamento censorio, presunzione ed una certa dose di ipocrisia, con un’estensione del suo significato fondamentale di malcontento religiosamente motivato nei confronti di una Chiesa d’Inghilterra elisabettiana ritenuta Laodicea e arrendevole. In seguito, il termine assunse un ulteriore significato, stavolta politico: quello di oppositore della monarchia Stuart e difensore di qualche forma di assetto repubblicano. Il significato principale, comunque, continuava a riferirsi a quella che veniva considerata una stravagante, violenta e sgraziata forma di Protestantesimo. In Inghilterra, il sentimento antipuritano ebbe libero corso al tempo della Restaurazione, e da allora è fluito senza intralci fino a noi. Nel Nord America è montato lentamente dopo l’epoca di Jonathan Edwards, raggiungendo il culmine un centinaio d’anni fa nella Nuova Inghilterra post-puritana.

Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, tuttavia, gli studiosi si sono impegnati in una meticolosa opera di rimozione/ripulitura del fango. E come gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, che, dopo essere stati ripuliti dalla perizia dei restauratori dalle vernici più scure, rivelano oggi inusitati colori, allo stesso modo l’immagine convenzionale dei puritani è stata radicalmente rinnovata, almeno tra chi si documenta (la conoscenza, ahimè, viaggia lenta in certi ambienti). Edotti da Perry Miller, William Haller, Marshall Knappen, Percy Scholes, Edmund Morgan, e da un più recente stuolo di ricercatori, i lettori informati ormai riconoscono che i tipici puritani non erano degli individui selvaggi, feroci e grotteschi, dei fanatici religiosi e degli estremisti politici, ma cittadini sobri, coscienziosi e colti, persone di principio, determinate e disciplinate, eccellenti nelle virtù domestiche e senza particolari difetti salvo una certa tendenza a perdersi in chiacchiere quando avevano da dire qualcosa d’importante a Dio o agli uomini. Alla fine, chiarezza è stata fatta…

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Pietro Bolognesi

Ci accontentiamo di aggettivi. Gli aggettivi sono quelle parti del discorso che qualificano i sostantivi. L’uso sapiente di essi permette di cogliere la qualità della cosa indicata dal sostantivo. E’ un interessante parametro della cultura posseduta. Gesù sapeva usarli.

Nel nostro Paese non sembra si sia in grado d’usare gli aggettivi. Se lo si fa, non lo si sa fare. Nei discorsi e dibattiti sulle questioni religiose, giornalisti, uomini di cultura (?), accademici, politici, si servono del termine “chiesa” senza alcuna specificazione. “La chiesa ritiene…, pensa…, è…”.  Nella mente dei più, il termine “chiesa” evoca, la chiesa cattolica romana. Questo alimenta un clima di nebulosità e superficialità. Come se la chiesa cattolico romana fosse l’unica chiesa o fosse in grado di riassumere sentimenti e convinzioni di tutte le altre chiese. Quando ci si sforza molto, si parla di chiese “diverse dalla cattolica”. E’ il colmo. In molte bocche le chiese non hanno ancora la necessaria dignità per essere nominate! Sembra che vi sia pudore o semplice ignoranza nel servirsi degli aggettivi. La chiesa cattolica sarebbe il metro, le altre vengono prese in considerazione solo commisurandole ad essa.

La recente proposta d'introdurre l'insegnamento dell'Islam nelle scuole italiane ha riportato al centro dell'attenzione il ruolo della scuola nelle politiche di integrazione culturale. Non c'è dubbio che la scuola abbia un'importanza cruciale in questo campo, eppure la soluzione intravista è una risposta sbagliata ad un problema reale. L'Italia è un Paese che, pur essendo uno stato laico, vede una confessione religiosa (quella cattolico-romana) godere di un privilegio iniquo: quello di impartire l'insegnamento della religione cattolica (IRC) nelle scuole pubbliche con insegnanti da essa selezionati ma pagati coi soldi di tutti i contribuenti. Ora, si vorrebbe gravare la scuola statale di un altro insegnamento religioso: quello dell'Islam per favorire l'integrazione degli studenti di famiglie musulmane. Il vizio di fondo dell'IRC, invece di essere risolto, viene esteso ed amplificato ulteriormente. L'ora di Islam è sbagliata come lo è l'IRC per il fatto che la scuola statale non è la sede per impartire l'insegnamento religioso, qualunque esso sia. Questo compito spetta alle famiglie e alle istituzioni religiose preposte. Piuttosto che introdurre un altro insegnamento confessionale, perché non si mette mano all'abolizione dell'IRC e non si lavora per una legge per la libertà religiosa che finalmente introduca nel nostro Paese una legislazione rispettosa di tutte le componenti religiose in un quadro di laicità ed uguaglianza? Solo così ci potrà essere integrazione, anche della minoranza islamica.

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