Nazzareno Ulfo (*)
" Il Grande Fratello vi guarda" (George Orwell)
La mia generazione è quella che ha cominciato a “giocare” con il Commodore 64, una macchina che possedeva soltanto 64 K di memoria operativa, era priva di memoria fissa e leggeva i dati da un registratore a nastro. Siamo stati i primi a scrivere e stampare autonomamente la tesi di laurea grazie al PC e ai primi programmi di word processing. Ricordiamo anche il rilancio editoriale e le discussioni dei media sul romanzo di fantapolitica scritto da George Orwell e pubblicato nell’ormai lontanissimo 1948 dal titolo 1984. L’anno di Orwel era giunto e ci si interrogava sulle sue intuizioni e sulle sue “profezie”. A ventitrè anni di distanza, il “Grande Fratello” viene associato soltanto da pochi ad un regime opprimente che utilizza la tecnologia come mezzo di controllo della vita e delle coscienza degli uomini; in altri, al massimo, suscita qualche riflessione su ciò che “fa audience”, sul cattivo gusto dei programmi televisivi o sul vuoto torricelliano di una certa cultura giovanile contemporanea… ma non dovrebbe essere così! L’intreccio tra tecnologia e stile di vita, etica sociale, coscienza individuale e tirannia merita maggiore attenzione e ben più profonde riflessioni.
Sebbene il progresso tecnologico, che negli ultimi duecento anni ha seguito un modello di sviluppo esponenziale, abbia fatto riflettere e inquietato più di un pensatore, l’atteggiamento dei più rimane prevalentemente quello dell’utente più o meno entusiasta, ma generalmente acritico. Eppure l’introduzione, sempre più invadente e pervasiva, di macchine che hanno velocizzato e semplificato molte delle attività umane, ha acceso un profondo dibattito tra coloro che s’interessano di storia e sanno molto bene che nessuna tecnologia è “neutra” ma che ogni innovazione in questo campo ha sempre agito come catalizzatore del mutamento sociale e culturale.
La tecnologia del computer ha determinato la nascita della cibercultura ovvero di una “società digitale” (1), ed ha acceso un dibattito che è destinato a non esaurirsi così presto. Prova ne sia l’ampiezza degli ambienti coinvolti: da quello accademico, a quello politico, a quelli “popolari” del cinema, della carta stampata e della televisione (2).
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