Le missioni (11) - di Paul David Washer
«Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro...»
(Matteo 28:19-20)
La natura didattica1 del Grande Mandato e l’assoluta importanza di una corretta comprensione dei contenuti del Vangelo non possono che condurci inevitabilmente al tema di questo capitolo, ossia che la missione è un impegno teologico o dottrinale. Come abbiamo già affermato ampiamente, il Grande Mandato non riguarda l’invio di missionari, bensì il diffondere la verità di Dio attraverso i missionari. Gesù ordinò alla chiesa di fare discepoli andando, battezzando, e insegnando! Pertanto, tutta l’attività di inviare missionari nel mondo risulterà di scarsa rilevanza se non avrà come risultato finale la propagazione della verità biblica, la quale ha l’effetto di trasformare le vite in accordo alla volontà rivelata di Dio.
Nelle epoche passate della chiesa, la teologia era ritenuta la “regina” di tutte le scienze, la più alta e nobile occupazione della mente umana. Tuttavia, negli ultimi anni la teologia, o tutto ciò che ha a che fare con la dottrina, è caduta in discredito. Spesse volte, la dottrina non solo viene ignorata, ma anche disprezzata, e ciò non soltanto da chi nega l’attendibilità delle Scritture, ma persino da quei cristiani che affermano di credere nella Bibbia! Inoltre, la dottrina spesso non viene più considerata come il fondamento dell’unità, ma come un elemento divisivo nella chiesa, come un veleno che mette discordia tra veri fratelli nella fede. Infine, la dottrina biblica è addirittura guardata con sospetto da certi missionari che la considerano pericolosa, a meno che non sia oculatamente filtrata attraverso le varie sensibilità culturali.
Come siamo arrivati a tutto questo? La risposta è piuttosto semplice e affonda le sue radici nell’antichità. Il serpente antico che aveva detto ai nostri progenitori: «Ha Dio veramente detto?», agisce allo stesso modo anche oggi2. Infatti, non ha fatto altro che forgiare la nostra cultura in modo che non solo si ribellasse alla verità, ma che negasse persino ogni possibilità di riuscire a conoscerla. Nondimeno, il suo inganno non ha attecchito solo nella cultura secolare, dal momento che questa piaga si è abbattuta anche sul suolo del cristianesimo, contaminando il suo territorio. Per troppo tempo la chiesa ha pascolato sull’erba velenosa del relativismo, che nega ogni tipo di verità assoluta, ma anche su quella dell’umanesimo, che fa della cultura e delle idee umane il metro di misura di tutte le cose. Metteteci dentro anche una visione completamente assurda della tolleranza, e avrete una situazione nella quale la fede e la proclamazione della verità suscitano scherno e derisione, perché ritenute sciocche, o, nel peggiore dei casi, contrarie all’etica condivisa.
Tutto ciò non ha fatto altro che corrodere la mente e il cuore del cristianesimo, nonché i suoi sforzi missionari. Siamo stati negativamente influenzati dal pensiero errato della nostra epoca, che ha minato le fondamenta sotto ai nostri piedi. Negando l’importanza della dottrina, la nostra attività missionaria è diventata una vera e propria contraddizione, se non un’assurdità. Nel resto di questo capitolo, menzioneremo solo alcuni degli esempi più chiari ed evidenti.
In primo luogo, è ormai opinione comune che i cristiani dovrebbero mettere da parte la loro dottrina ed essere uniti nella loro fede in Cristo. Tuttavia, la dura realtà è che oggi nel mondo esistono tante versioni diverse di Cristo predicate da coloro che dichiarano di essere suoi seguaci. Come potremmo distinguere il vero Cristo dalla moltitudine di falsi cristi senza uno studio accurato delle Scritture e una fedele applicazione delle sue dottrine? Dovremmo forse predicare un Cristo alle nazioni che è così vago e generico da finire per riempire il mondo e la chiesa con innumerevoli opinioni contraddittorie riguardo alla sua persona e alla sua opera? L’unità non può essere ragionevolmente fondata sulla nostra comune confessione di un Cristo non definito chiaramente e sulla nostre idee contrastanti in merito ai fondamenti della fede cristiana.
In secondo luogo, viene spesso detto che i cristiani dovrebbero mettere da parte la loro teologia e unirsi attorno alla causa comune del Grande Mandato. Eppure, il Grande Mandato è primariamente un’impresa di natura teologica. Mettere da parte la teologia al fine di promuovere un impegno teologico è un controsenso, un’ idea assolutamente illogica e distruttiva. È assurdo pensare che il Grande Mandato possa essere il vincolo che tiene uniti assieme individui che differiscono tra loro sugli aspetti principali della dottrina. L’unità si deve basare sulla stessa concezione di chi è Cristo, di ciò che ha compiuto, e di quello che ha insegnato.
In terzo luogo, è diventata ormai una massima condivida che i cristiani dovrebbero preoccuparsi solo delle dottrine principali della fede, senza fissarsi sui “dettagli”. La celebre citazione attribuita ad Agostino riflette saggiamente un tale concetto: “Nelle cose essenziali, unità; nel dubbio, libertà; in tutte le cose, carità”3. Nonostante questa frase sia fondata e ben espressa, nasconde anche alcuni pericoli. Uno dei più seri riguarda l’attuale tendenza negli ambienti cristiani a dare poca importanza alle verità assolute. Mentre questa tendenza continua ad espandersi, i cristiani relegano sempre di più le dottrine a cose di “secondaria importanza”. Non si ritiene più necessario discutere su dottrine che un tempo erano ritenute essenziali e assolute. Un altro pericolo risiede nelle questioni concrete di un ministero calato nella realtà della vita. Non preoccuparsi di null’altro se non delle verità essenziali potrebbe andare bene se si meditasse in una torre d’avorio o se si facessero dei discorsi speculativi con i propri colleghi di un seminario teologico. Ma, quando si inizia a fondare una chiesa o si comincia a discepolare persone in carne e ossa, che pongono domande importanti, quelle dottrine di “poco conto” diventano estremamente importanti e richiedono una definizione.
In quarto ed ultimo luogo, è diventata ormai una pratica comune per le organizzazioni missionarie ridurre le loro confessioni dottrinali al minimo comune denominatore al fine di includere quanti più missionari e sostenitori possibile. Nella maggior parte dei casi ciò viene fatto con buone intenzioni (per promuovere più rapidamente il Grande Mandato), ma si tratta comunque di una palese resa al pragmatismo che, in definitiva, è controproducente. Questa verità è spiegata molto bene da Walter Chantry nel suo libro Vangelo oggi, vero o falsificato?:
Coloro che credono nella Parola di Dio hanno accettato le medesime soluzioni superficiali adottate dal liberalismo. L’autorevolezza, le convenzioni tanto intellettuali quanto sociali, e specialmente l’unità, sono divenute gli obiettivi del popolo di Dio, nella speranza che da essi una chiesa indebolita potesse trarre una vitalità novella. «Se saranno soltanto i credenti nella Bibbia ad unirsi, il mondo continuerà a starsene in disparte», pensa la chiesa. «Uniamo gli organismi missionari mettendo in comune le nostre finanze ed il nostro personale. Uniamo i nostri giganteschi progetti di evangelizzazione. Se ciascun evangelico aderisce ad un’organizzazione comune, noi possiamo evangelizzare più a fondo». Ed è così che l’unità organizzativa diventa l’obiettivo delle chiese dell’Evangelo.
Una volta accettata la teoria che l’unità è di importanza capitale per l’evangelizzazione del mondo, tanto la chiesa quanto il singolo devono abbassare il livello della loro valutazione della verità. In un grande congresso sull’evangelizzazione non possiamo insistere su una verità della Parola di Dio che potrebbe offendere qualche fratello evangelico. Bisogna trovare, allora, un minimo comune denominatore accettabile da tutti i cristiani rigenerati. Il rimanente della Bibbia sarà classificato come «non essenziale» per le missioni. In questo modo l’unità tra cristiani diventa più importante dell’esattezza dottrinale.
È proprio per questa ragione che le società missionarie sono state riluttanti, ogni volta, ad esaminare con accuratezza il problema fondamentale nella predicazione. Gli enti missionari sono esitanti quando devono rispondere alla domanda: che cos’è l’Evangelo? Dare una risposta esauriente significherebbe condannare quello che molti dei loro missionari vanno predicando; distruggere la società missionaria la quale è una federazione di chiese che danno una risposta diversa a quella domanda; adottare la posizione d’una chiesa singola e quindi perdere il sostegno di cinque altre. Crollerebbe così l’intero sistema fondato sull’unità e sulla genericità.
La chiesa locale non può essere troppo specifica riguardo a questa o a quella verità. non può intaccare il suo buon accordo con la denominazione o associazione. Definire accuratamente l’Evangelo porterebbe in conflitto con le organizzazioni operanti tra i giovani, e questo creerebbe delle tensioni con gli enti missionari e un disaccordo imbarazzante con i predicatori sostenuti per tanti anni. Potrebbe condannare l’intero programma della scuola domenicale. Prestare un’attenzione troppo grande al contenuto dell’Evangelo potrebbe comportare un attrito con altri evangelici. Mentre l’unità è la chiave del successo4.
Per concludere questo lungo capitolo, dobbiamo ribadire ancora una volta che lo scopo delle missioni cristiane è quello di diffondere la verità biblica. Qualsiasi tentativo di adempiere il Grande Mandato svalutando l’importanza della dottrina è una contraddizione teologica e concettuale, un’assurdità della peggior specie. Dobbiamo rigettare la menzogna che la dottrina, tranne che nelle questioni fondamentali della fede cristiana, non sia in effetti così essenziale.
La dottrina non è antitetica alla fede cristiana, piuttosto ne è il fondamento. Sebbene ci siano coloro che recano un grande danno cercando di spaccare il capello in quattro e non mostrando amore su aspetti davvero irrilevanti, è stato fatto anche molto più danno da coloro che sminuiscono l’importanza della dottrina e non ascoltano l’esortazione rivolta dall’apostolo Paolo al giovane Timoteo:
«Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano»5.
NOTE
1 Il termine “didattico” deriva dal verbo greco didaskein, che significa “insegnare”. Un sforzo è didattico quando ha a che fare con l’insegnamento e l’istruzione.
2 Genesi 3:1.
3 Sebbene questa famosa citazione sia stata attribuita ad Agostino, vi è molto dibattito su chi sia il vero autore. È interessante che questa frase sia citata da “una grande varietà di tradizioni cristiane tra loro incompatibili”.
4 Walter J. Chantry, Vangelo oggi, vero o falsificato?, Finale Ligure, E.P. edizioni, 1977, pp. 8-10.
5 1 Timoteo 4:16