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Un giorno Cristo disse: «Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro» (Luca 18:16). Secondo tale dichiarazione il regno di Dio appartiene a coloro che assomigliano ai piccoli fanciulli. Ora, dobbiamo chiederci cosa significa “assomigliare ai bambini”? Si tratta di un interrogativo molto importante perché Gesù ha dichiarato che “il regno di Dio è per chi assomiglia ai bambini”, e questo significa che chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto. Quindi, se nel giorno in cui Dio giudicherà ogni uomo vogliamo entrare nel regno di Dio, dobbiamo assicurarci di assomigliare ai bambini.


1. Prima di tutto, consideriamo che: assomigliare ai piccoli fanciulli non significa essere innocenti

Nel libro dei Proverbi, la Scrittura afferma che “la follia è legata al cuore del bambino” (Proverbi 22:15). In uno dei passi più tristi della Bibbia leggiamo: «L’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo… I disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua fanciullezza» (Genesi 6:5; 8:21). Agostino d’Ippona asserì: «Chi mi ricorderà i peccati commessi nell’infanzia? Nessuno, infatti, dinanzi a te è immune da peccato, neppure il piccolo che ha appena un giorno di vita sulla terra! Chi me li ricorderà, se non un qualsiasi piccino, nel quale vedo ciò che non ricordo di me?… Dunque i bambini non sono innocenti nell’anima… Ho visto e osservato bene un bambino che soffriva di gelosia: non parlava ancora, e già guardava, pallido e accigliato, un altro lattante. Chi non sa queste cose?… Se… sono stato concepito nel peccato e nel peccato mia madre mi ha allevato nel suo utero, dove mai, mio Dio, dove mai, e quando, Signore, io, tuo servo, sono stato innocente?» (Confessioni I.7).


2. Inoltre, consideriamo che: assomigliare ai piccoli fanciulli
non significa essere umili

Leggiamo Matteo 18:1-4: «In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: “Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?” Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli”». Questo passo è spesso frainteso. Osservate bene le parole di Cristo: egli dice che sono i discepoli a doversi umiliare facendosi piccoli per assomigliare ai fanciulli. Il Signore non dice ai discepoli di imitare l’esempio di umiltà dei bambini, ma di abbassare loro stessi in modo che da “grandi” diventassero “piccoli”, assumendo quella caratteristica che stiamo cercando d’individuare.


3. Inoltre, consideriamo che: assomigliare ai piccoli fanciulli non significa neppure essere semplici o ingenui

In effetti, la “semplicità e l’ingenuità”, secondo la Bibbia, non è una qualità positiva, o una virtù. Infatti, essa insegna che “il semplice” deve essere reso saggio: «La legge del Signore è perfetta, essa ristora l’anima; la testimonianza del Signore è veritiera, rende saggio il semplice» (Salmi 19:7; cfr. 119:130). Inoltre, afferma che “il semplice” deve essere “reso accorto” perché non lo è: «…Per dare accorgimento ai semplici e conoscenza e riflessione al giovane» (Proverbi 1:4). Il termine che nei Salmi 19 e in Proverbi 1 è tradotto “semplice” il più delle volte significa “stolto”, “insensato” o “sciocco” (cfr. Proverbi 1:22; 9:6; 14:15; 22:3; 27:12). Per questo Gesù non può voler dire che la semplicità e l’insensatezza dei bambini sia una virtù necessaria per entrare nel regno dei cieli.


4. Infine, consideriamo che: assomigliare ai piccoli fanciulli significa essere assolutamente dipendenti da qualcun altro

Alcune persone avevano condotto a Gesù dei bambini “piccoli” (Luca 18:15)… Il termine originale usato nella lingua greca (bre,fh) indica dei bambini molto piccoli, dei neonati, a volte addirittura un feto ancora nel grembo materno (come in Luca 1:41, 44). Gesù, quindi, non sta parlando di una virtù dell’anima del fanciullo o dell’uomo. Quali virtù morali possono avere dei neonati, o dei bambini piccoli? Il Signore, piuttosto, si riferisce ad una caratteristica che fa parte della natura stessa del bambino. Ma qual è questa caratteristica naturale? È l’assoluta dipendenza di un fanciullo. Un neonato, un piccolo fanciullo non può fare nulla da solo: non può nutrirsi, dissetarsi, vestirsi, pulirsi, curarsi se è ammalato, ed è totalmente indifeso di fronte alla vita e dipende assolutamente, in tutto e per tutto, da papà e mamma o da qualcun altro che lo possa aiutare ed accudire.

E voi, assomigliate ai piccoli fanciulli? Dipendete assolutamente, in tutto e per tutto, da Cristo per entrare nel regno dei cieli oppure confidate in voi stessi o in qualcosa o in qualcun altro oltre a Cristo?

Per avere la certezza che, nel giorno in cui Dio giudicherà ogni uomo, entreremo nel regno di Dio dobbiamo assomigliare ai bambini, ossia dobbiamo affidarci a Cristo e al suo perfetto sacrificio riconoscendo che, essendo dei peccatori, non possiamo salvarci da soli.

 

Past. Nazzareno Ulfo

Se confessiamo i nostri peccati, egli (Dio) è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. (1 Giovanni 1:9)

Il verbo "omologare" e i suoi derivati come "omologazione", "omologo" sono ormai entrati a far parte del linguaggio quotidiano. Nel caso di un'automobile o di un elettrodomestico, l'omologazione è una "dichiarazione di conformità". Gli impiegati addetti ad omologare qualcosa, in pratica, attestano che ciò che è fisicamente dinanzi a loro corrisponde a ciò che è dichiarato sui documenti che l'accompagnano, che tutto è conforme alle leggi che governano la materia e a ciò che è stato stabilito come canone da rispettare. Ormai, nessuno di noi acquisterebbe qualcosa che non abbia il "marchio di omologazione" o di "conformità" IMQ, CEE, ecc.

Questo opuscolo riguarda proprio l'omologazione dei nostri peccati.

Il versetto della Bibbia che si trova sotto il titolo dell'opuscolo (tratto dalla prima lettera dell'apostolo Giovanni) dice che soltanto "se confessiamo i nostri peccati, egli (Dio) è fedele e giusto da perdonarci...". È bene che sappiate che il verbo che è stato tradotto "confessiamo", nella lingua Greca (quella usata dall'apostolo Giovanni) è "omologhèo" e, considerando la sua origine, significa: "dire la stessa cosa". Confessare i peccati significa quindi: "dire - di essi - la stessa cosa".

 

 

Confessare i peccati: dire ciò che Dio dice di essi!

Ma, potreste chiedere: «"Dire la stessa cosa" rispetto a chi?» Ovvero: «Per confessare i miei peccati con chi dovrei "concordare"?»

A questa prima domanda rispondiamo che una vera confessione dei peccati significa: "dire la stessa cosa che Dio dice di essi". Che la confessione dei peccati è "l'ammissione del cuore che ciò che Dio afferma intorno al nostro peccato è vero", oppure: "avere, sui peccati, la medesima opinione di Dio". Fino a quanto non avremo riconosciuto di cuore e ammesso senza riserve che tutto ciò che Dio afferma intorno al nostro peccato è vero e giusto, non potremo dire d'aver mai realmente confessato i nostri peccati.

 

 

Cosa dice Dio dei nostri peccati?

A questo punto bisogna rispondere ad un'altra domanda: «Cosa dice Dio di noi e dei nostri peccati?»

Forse siete inclini a ritenere che Dio non si curi troppo dei vostri peccati e che egli, in fondo, li consideri con leggerezza o come qualcosa di lieve e tollerabile.
Tuttavia, solo se leggerete la Bibbia e la prenderete sul serio potrete conoscere cosa sia davvero il "peccato", quali siano le cose che Dio ha dichiarato "peccaminose" e solo così saprete che egli dice delle cose tremende ai vostri peccati e a voi che li commettete! (Se possedete un Bibbia leggete con attenzione Esodo cap. 20 e Romani capp. 1, 2 e 3).

Dio dice che la condizione universale dell'umanità (ovvero di ognuno di noi) è terribile. «Tutti - senza alcuna distinzione - hanno peccato e sono privi della gloria di Dio». Siamo tutti peccatori. (Romani 3:10-18, 23). Se dicesse: "molti" o "la maggior parte" o, anche, "quasi tutti tranne pochissimi...", qualcuno di noi potrebbe avere la sfacciataggine di escludersi dal numero dei "peccatori"... ma la parola di Dio non offre alcuna possibilità di scampo. Tu che leggi (come me che scrivo) sei un peccatore, sei una peccatrice!

Dio dice che, a causa dei nostri peccati, siamo separati da lui e degni del suo odio, inimicizia e che egli distruggerà tutti i peccatori (Isaia 59:2-5; Salmi 11:4-6; Efesini 2:3; Romani 2:6, 8).

Dio dice che i peccati degli uomini non sono pochi e lievi, ma innumerevoli e gravissimi (Giobbe 22:5; Ezechiele 28:18).

Dio dice che i nostri peccati ci fanno meritare l'inferno, l'eterna perdizione (Michea 6:13; 2 Tessalonicesi 1:9-10).

 

 

Ponetevi delle domande

Adesso, lasciatevi porre alcune domande:
«Lo sapevate che quelle che voi abitualmente chiamate, "debolezze, errori, mancanze", Dio li chiama peccati?»
«Lo sapevate che "confessare i peccati" significa, prima di tutto vedere le cose come Dio le vede e chiamarle come Dio le chiama?»
«Comprendete che "confessare i peccati" non significa "raccontarli" in preghiera, in privato o in pubblico, ma che è qualcosa di molto più che questo?»

Confessare i peccati significa essere pienamente convinti nell'animo di meritare tutto ciò che Dio dice su di essi e su di noi che li commettiamo, concordare con lui non solo per stabilire cosa sia peccato e cosa non lo sia, ma anche per riconoscere che l'unico modo per non essere distrutti è che egli ci perdoni.
Ed egli perdona!
Dio è fedele e giusto e perdona coloro che, riconoscendo di essere dei peccatori meritevoli della sua giusta condanna, vanno a lui tramite Gesù Cristo, lo confessano apertamente e seriamente e gli chiedono di essere accolti come figli.

 

 

E tu hai mai confessato i tuoi peccati?

 

Past. Nazzareno Ulfo

Chi è Gesù Cristo, qual è il senso della sua vita, del suo insegnamento, della sua morte e della sua risurrezione? Come devono essere lette e interpretate le sue parole e la sua vicenda storica oggi? Dall'inizio della storia del Cristianesimo moltitudini di uomini e donne hanno risposto nei modi più svariati all'emblematica domanda che egli pose ai suoi primi discepoli: «E voi chi dite che io sia?» (Matteo 16:15).

Uno studioso contemporaneo ha affermato: «Cristo non ha cessato di assillare e di inquietare le intelligenze filosofiche; ed anche dove è in parte o del tutto assente... tale assenza suscita come l'impressione... di una "cancellatura"»

È arrivata ancora una volta la stagione "natalizia", ma quante persone parleranno e si interrogheranno seriamente sul "mistero di Cristo"? Quanti saranno coloro che non si accontenteranno di "informazioni di seconda mano" di "riscritture" della sua venuta? Certamente il modo più valido e serio per conoscere e comprendere chi egli fu ed è e quale sia stato e sia il significato e lo scopo della sua missione è quello di rivolgerci ai testimoni oculari, a coloro che costituirono la prima e più intima cerchia dei suoi discepoli. L'apostolo Giovanni è uno di loro e, in uno dei suoi scritti spiega, in modo assai sintetico ma efficace, la ragione per la quale Gesù Cristo è venuto o, per usare le sue parole "è stato manifestato".

Ciò che state leggendo riguarda l’amore di Dio… e non ci stupiremo se prima di aver completato di leggere la prima frase metterete da parte questo foglio, magari con l’intenzione di tornare a leggerlo in seguito. Se il titolo fosse stato la più grande manifestazione dell’IRA di Dio magari la vostra reazione sarebbe stata un po’ diversa.

Diciamocelo chiaramente: nessuno si meraviglia quando vengono ripetute le parole scritte dall’apostolo Giovanni: «Dio è amore» (1 Giovanni 4:8) e: «Dio ha tanto amato il mondo…» (Giovanni 3:16). Si dirà: «E perché mai ci si dovrebbe meravigliare? È naturale che Dio mi ami; dev’essere così! Perché non dovrebbe amarmi? Sono una persona perbene… tu anche, e Dio ci ama entrambi!».

Così, oggi, sentir parlare dell’amore di Dio non è più un “vangelo” (che significa “buona notizia”), anzi, non è neppure una “notizia” poiché noi non consideriamo tali le cose che sappiamo già da più di un giorno (chi comprerebbe il quotidiano di ieri o di una settimana fa?).

Eppure vorrei dirvi che il fatto che Dio ami o che abbia dimostrato amore per gli uomini non è affatto scontato né “normale”! E ciò lo comprendiamo proprio dalle parole scritte dall’apostolo Giovanni nei versetti della Bibbia che ho già citato in parte.

«Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3:16-17).

«Dio è amore. In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo unico Figlio nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati» (1 Giovanni 4:8-10).

Riflettiamo su queste affermazioni.

Entrambe ci dicono che la misura dell’amore di Dio è quella del dono del Figlio (Gesù Cristo). Dire che si tratta di un amore sublime – ovvero “al massimo grado, eccellente” – significa usare l’aggettivo giusto per descrivere l’attitudine divina verso l’umanità, e ciò non tanto perché ha riguardato tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze, poiché la vera eccellenza è una qualità assoluta e non relativa ad un altro oggetto. Lasciate che spieghi questo concetto con un esempio molto semplice: riferendoci alle dimensioni, noi non diciamo che un uomo è di “sublime grandezza” se lo paragoniamo ad un insetto come una formica o un ragno. Una tale grandezza, infatti sparisce se messa a confronto con una montagna o con la vastità del sistema solare. La vera eccellenza riguarda la qualità più che la quantità e non deve misurarsi con ciò che – per quanto grande possa essere – rimane pur sempre limitato. Ora, l’amore di Dio è grande non perché abbraccia molti uomini, ma perché abbraccia e accoglie uomini molto cattivi, non amabili, anzi perfino odiosi! Negli scritti di Giovanni “il mondo” significa raramente “gli uomini” e molto più spesso: ciò che è nemico e antagonista a Dio, il male, un sistema perverso e malvagio. E “il mondo” è descritto come “perduto”, “privo di vita” e pieno di odio verso Cristo e i suoi discepoli. Ecco perché l’amore di Dio è sublime: egli ha dato il suo Figlio per beneficiare una tale realtà. Te e me così come siamo per natura: morti e nemici di Dio (Efesini 1:1-4).

Entrambe ci dicono che l’impresa compiuta è stata la salvezza degli uomini. Salvezza e giudizio (ovvero “condanna”) e vita e morte sono contrapposti nei versetti citati. Perché Gesù Cristo è venuto, si è incarnato nel seno di una vergine ed è morto nel più violento dei modi? Che un essere buono e giusto, che un profeta di Dio che “il Cristo” dovesse morire è semplicemente inconcepibile per la mente umana. I suoi discepoli non riuscivano a capire perché mai dovesse morire, gli ebrei del suo tempo ritennero che lo meritasse, i mussulmani insieme a tanta altra gente, oggi, negano che Gesù sia davvero morto in croce. Eppure Giovanni parla proprio della sua morte quando, per spiegare in che modo Dio ci ha amati, dice che Gesù fu mandato per essere «il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati». Sacrificio è una parola “insanguinata”! E Giovanni ci dice che il sangue del sacrificio di Cristo ha una qualche relazione con “i nostri peccati” e che è “propiziatorio”. Questo si può spiegare in un solo modo: uomini peccatori, morti e perduti erano sotto la condanna e l’ira di Dio, ma lo stesso Dio che era adirato con loro ha inviato il suo Figlio affinché versando il suo sangue i loro peccati fossero cancellati ed egli divenisse propizio, o “favorevole” verso di loro. Questa è stata l’impresa compiuta da Cristo, la salvezza degli uomini non è un’opzione o una possibilità che Dio pone dinanzi a loro, il vangelo non è la richiesta di qualcosa che TU devi fare, ma l’annuncio di ciò che Dio ha già fatto per te.

Entrambe ci dicono che un tale amore è stato del tutto gratuito. L’amore di Dio non è qualcosa che può essere meritato. Nessuno lo ha mai meritato e nessuno mai lo meriterà. Si tratta di un atto della sua volontà sovrana, libera e incondizionata. Il mondo che è nemico di Dio (ovvero ciascuno di noi) meritava solo il giudizio (la condanna), ma mediante Cristo ha ricevuto la salvezza. Era “morto”, ma ha ottenuto la vita, era perduto, ma è stato ritrovato dal “buon pastore”! L’amore di Dio è assoluto e sublime proprio perché non è indotto da niente che sia presente nell’oggetto (ovvero nella persona) amato e da nessun altro al di fuori di Dio stesso e della sua volontà. Il nostro amore per i nostri simili e perfino per Dio è sempre una risposta a qualcosa che ce li rende cari. Cominciamo ad amare Dio quando comprendiamo qualcosa della sua eccellenza e della sua grandezza e amiamo i nostri simili quando percepiamo in loro una qualche qualità che li rende amabili. Ma non è così per Dio. Giovanni dice che l’amore consiste proprio in questo: «non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi…”. Più avanti scrive: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (1 Giovanni 4:19). Ma perché egli ci ha amati donandoci il suo Figlio? La meraviglia di un tale amore consiste proprio nel fatto che non possiamo dare alcuna risposta a questa domanda poiché, se siamo onesti, non possiamo individuare in noi alcuna ragione per la quale dovessimo essere amati da un tale Dio.

Un tale sublime amore è un amore esigente. È un amore che ti chiama a credere e a cambiare. È un amore che ti ordina di amare Dio e il tuo prossimo. È un amore che è in grado di darti ciò che ti chiede. Pensaci!

Past. Nazzareno Ulfo

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