followus Inst

La centralità di Dio nella vita della chiesa

Ritengo di essere stato invitato a parlare di questo soggetto1 in quanto pastore di una chiesa che da circa cinque anni ha intrapreso risolutamente un cammino di riforma che dal pentecostalismo, dal pragmatismo e dall’arminianesimo ci ha portati a riconsiderare a fondo e a mutare radicalmente non solo la nostra confessione di fede, ma anche il sistema di governo, l’ordine del culto e a riconsiderare alla luce della Parola di Dio ogni aspetto della nostra vita e delle nostre relazioni… (in senso teocentrico).
Ciò ci ha portati all’abbandono della denominazione pentecostale alla quale appartenevamo (e in realtà del pentecostalismo stesso) e a ricostituirci come chiesa nel novembre del 2000.

Preciso che:
(1) Non intendo proporre la nostra esperienza come paradigma, ma dare testimonianza di un “esperimento di riforma” (brutta espressione, ma rende l’idea) che, per la grazia di Dio, fino a questo momento ha dato buon esito e prodotto buoni frutti.
(2) Che i principi biblici che esprimerò brevemente sono quelli che devono essere valutati e considerati piuttosto che la nostra stessa esperienza (vale a dire che la misura della “bontà di ciò che abbiamo fatto non è determinata dal “successo” ma dalla misura in cui è fedele e rispecchia la verità rivelata).

Il pensiero fondamentale: considerando le circostanze generali e la condizione della chiesa evangelica contemporanea, mettere Dio al centro della vita della chiesa non è semplicemente un concetto teologico, ma una guerra.
Ovvero, più precisamente: L’applicazione fedele e coscienziosa del concetto teologico della centralità di Dio nella vita della chiesa ha sempre suscitato – e certamente susciterà – grandi tensioni nell’ambito della chiesa locale e – possibilmente – della denominazione a cui si appartiene.

Il principio fondamentale che ci impone di impiegare tutte le nostre forze in tal senso:

1 Timoteo 3:15
Ti scrivo queste cose sperando di venir presto da te, affinché tu sappia, nel caso che dovessi tardare, come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità
.

Il termine chiesa si riferisce certamente all’assemblea locale dei credenti, la chiesa nella sua espressione locale e visibile.
Questa chiesa che ha il ruolo di sostenere la verità innalzandola e definita dall’apostolo “casa di Dio”. Luogo della sua dimora, dove egli viene adorato ma, soprattutto – in conformità all’uso del medesimo termine nei versetti 4, 5, 12 – l’ambito dove Dio esercita il suo governo in modo speciale e dove il suo ordine deve potersi osservare visibilmente…
Se quindi la chiesa è “la casa di Dio” le attività che in essa si svolgono non possono scaturire dall’inventiva e dall’immaginazione dell’adoratore o della comunità che adora, ma devono attenersi strettamente o, almeno, essere dedotte coerentemente e conformemente ai comandamenti di Dio espressamente dichiarati nel Nuovo Testamento.

Il mandato di Cristo di fare discepoli non si esaurisce con l’ordine di andare a “predicare, battezzare e insegnare la dottrina cristiana”, ma si spinge ben oltre, fino all’applicazione pratica dei suoi ordini e insegnamenti: “insegnando ad osservare tutte le cose che io vi ho comandate” (Matteo 20:28).

Questi sono i capisaldi che nella tradizione riformata e puritana hanno portato alla formulazione del “principio regolativo” dell’adorazione della chiesa. Secondo questo principio: solamente quanto è espressamente e positivamente ordinato nel Nuovo Testamento deve orientare e delimitare l’adorazione della chiesa (ovvero il culto che essa rende a Dio in pubblico e in privato). Se la riforma Luterana ebbe come uno dei suoi obiettivi l’epurazione da pratiche e dottrine tradizionali in contrasto con la rivelazione neotestamentaria, ciò scaturì indubbiamente da una concezione della grandezza e della sovranità di Dio più adeguata e dell’inabilità e corruzione dell’uomo peccatore più rispondenti alla realtà (Lutero, nel suo De servo arbitrio, scrisse ad Erasmo: «Pensi a Dio in modo troppo umano»).

Ma il principio teocentrico fu applicato da Calvino in modo ancora più deciso anche nell’ambito dell’adorazione2 differenziandosi così dal Luteranesimo. In seguito, ricalcando le sue orme, il puritanesimo inglese e il presbiterianesimo scozzese contrapposero alla posizione moderata e di compromesso all’Anglicanesimo, quella radicale del principio regolativo.

Storicamente, quindi, l’applicazione nella vita delle chiese del teocentrismo di cui abbiamo udito in questa conferenza, ha sempre provocato tensioni e conflitti poiché, chiunque si sia posto al cospetto della rivelazione della Scrittura e l’abbia trovata difforme dal suo contesto particolare, se ha avuto il timore di Dio e il coraggio necessari per operare delle riforme, si è necessariamente dovuto scontrare con abitudini consolidate da anni (o da secoli) e con la mentalità carnale refrattaria alle cose che crocifiggono la carne e umiliano l’uomo.

Nell’affrontare questo argomento ci sono varie difficoltà, aggravate dal fatto che lo spazio del mio intervento è necessariamente limitato. Una delle difficoltà è che tale argomento può essere affrontato in molti modi diversi:

  • La centralità della predicazione;
  • La necessità di una confessione di fede sufficientemente precisa (con chiare affermazioni e negazioni);
  • L’importanza che la vita della chiesa sia regolata dalla sottoscrizione cordiale e dall’onesta adesione ad un patto comunitario ove vengano chiaramente affermati ed accettati diritti e doveri dei membri;
  • L’adozione di una costituzione che – in conformità al principio teocentrico – regolamenti tutti gli aspetti della vita della chiesa: scopi, ammissione dei nuovi membri, disciplina, comunione con altre chiese, riconoscimento ed elezione di diaconi ed anziani/pastori, disciplina formativa e correttiva, ed altro ancora.

Si dovrebbe parlare di tutto questo, ma quello che mi sembra opportuno affrontare considerando i tempi in cui viviamo e la condizione della chiesa contemporanea (specialmente in Italia) riguarda l’impegno che è dei pastori primariamente, m a che non può mancare in ciascun membro della chiesa locale, a comprendere e mettere in pratica il principio della centralità di Dio nella vita della chiesa.

Infatti Dio non è al centro se una chiesa possiede una buona confessione di fede, se il pastore o gli anziani, molti dei membri o perfino tutti confessano e professano di credere in questo principio, ma se ai vari livelli e secondo le varie responsabilità si mantiene alto l’interesse e la tensione necessari per perseverare nell’impegno ad una comprensione sempre più precisa di questo concetto teologico e ad una sua sempre più rigorosa messa in pratica.

Insomma: la posizione realmente occupata da Dio nella chiesa è determinata dal modo in cui il concetto teologico viene applicato praticamente.

Quindi, applicazione è la parola chiave del mio intervento.

Applicazione intelligente del “principio regolativo” nell’adorazione.

A mio parere l’adorazione della maggior parte delle chiese contemporanee è antropocentrica, di intrattenimento e democratica.

La gente viene in chiesa non per cercare Dio e per celebrarlo ma per rilassarsi, non per apprendere come Dio deve essere onorato in ogni aspetto dell’esistenza umana, individuale ed associata, ma per provare una certa quantità di sentimenti ed emozioni.
La musica, il tipo di predicazione, le forme alternative della comunicazione del messaggio che vengono impiegate, molto spesso, vanno in senso opposto al principio teocentrico3.

Il principio regolativo - sebbene non sia privo di difficoltà (peraltro affrontate dalle grandi confessioni di fede che parlano di contestualizzazione e adattamento a tempi e culture diverse del principio) - è un mezzo per evitare di scivolare in forme di culto al cui centro non ci sia Dio.

Un culto teocentrico è quello in cui Dio viene adorato dal principio alla fine:

  • Scaturisce è sostenuto e diretto da un pio timore;
  • È semplice e lineare;
  • È condotto ordinatamente;
  • È caratterizzato dall’evidenza dell’applicazione del principio dialogico in senso verticale piuttosto che orizzontale (Dio parla – il popolo risponde);

In buona sostanza mostra il carattere di Dio in quegli aspetti più appropriati a promuovere la riverenza, l’umiltà e il senso di dipendenza da Dio che ogni vero adoratore cristiano deve avere.

Applicazione delle verità bibliche ad ogni aspetto della vita degli ascoltatori

La predicazione deve rivolgersi alle coscienze degli ascoltatori e deve insegnare non solo la verità dottrinale ma mostrare come essa si applichi agli schemi di comportamento, ai sentimenti e alla volontà di chi si ascolta.
“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16-17).

Così fecero gli apostoli: Le risposte emotive dell’uditorio seguivano il chiaro insegnamento e la puntuale applicazione agli ascoltatori dello stesso. Si notino i seguenti casi: compunti nel cuore Atti 2:37; spavento: Atti 24:25; allegria e gioia: Atti 8:39; 16:34.

Così fece Giovanni il Battista: in Matteo 14:4 non troviamo un discorso teorico sul VI comandamento, ma un diretto “non ti è lecito”.

Così ha fatto il Signore Gesù. Si veda Matteo 21:43.

Questo è stato uno dei più grandi pregi della predicazione dei Puritani e questo è ciò che crea i problemi nella chiesa ma, è così che si forniscono delle direttive chiare per vivere alla gloria di Dio. Il pastore o è una guida o non è pastore.

La contestualizzazione comincia proprio con l’applicazione personale e la risoluzione dei casi di coscienza più comuni e (forse) banali, dei vari tipi di ascoltatori.

Appicazione misericordiosa, calibrata e risoluta della disciplina ecclesiasistica.

In particolar modo a riguardo di coloro che entrano a far parte della chiesa locale.
La necessità di tutelare l’ethos della chiesa
Si consideri il rimprovero di Paolo ai Corinzi: 1 Corinzi 4:18-21.
Si ricordi la lode di Cristo alla chiesa di Efeso: Apocalisse 2:2 e il suo rimprovero alla chiesa di Tiatiri 2:20.

Per concludere

Comprendete adesso perché ho parlato di “una guerra”. e è una guerra sono necessarie almeno tre cose:

  • Una buona dose di coraggio, quello che viene dalla fede, la fermezza e l’eccellenza morale di chi conosce Dio (Daniele 11:32).
  • Una buona strategia; perché bisogna tenere conto delle realtà locali, dei tempi ed essere sufficientemente saggi per introdurre gradualmente delle riforme.
  • Calcolare la spesa.

 


1 Quelle che seguono sono le note di un intervento del past. Ulfo ad una tavola rotonda tenuta nel corso delle Giornate Teologiche dell'IFED del 2003

2 Parlando delle tradizioni e delle leggi stabilite dalla chiesa indipendentemente dalla Scrittura afferma: «Ci sono in queste leggi… difetti da notare. Il primo: ci inducono a trastullarci con pratiche in gran parte inutili e a volte sciocche e irragionevoli… Definendole inutili e sciocche so ben di non trovar credito presso una mentalità carnale perché i sensi naturali dell’uomo vi trovano sommo piacere e quando le si sopprimono si ha l’impressione che la chiesa sia tutta distrutta» (Ist. IV.x.11).

3 La “pazzia della predicazione” non è solamente la pazzia del messaggio predicato, ma anche del metodo in cui viene esso comunicato, poiché l’apostolo stesso afferma che c’è un modo di comunicare il messaggio che rende vana la croce di Cristo: Cfr. 1 Corinzi 1:21, 17).

Free Joomla! template by L.THEME