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Rivelazione e futuro (H. Bavinck)

Benché in linea di principio la religione cristiana non sia ostile alla cultura, ugualmente non si può negare che attribuisca soltanto un valore subordinato a tutti i beni di questa vita terrena. Il valore del mondo intero non è grande quanto quello della perfezione del regno dei cieli, del perdono dei peccati e della vita eterna nella comunione con Dio. Sotto questo aspetto, la religione cristiana si oppone frontalmente alla visione del mondo assunta dall’uomo moderno e non è né adatta né pronta al compromesso. È in gioco nientemeno che il bene supremo dell’uomo.

Perciò non solo il cristianesimo è accusato, oggi, di opporsi alla cultura del passato piuttosto che di approfondirla e di assumere nei suoi confronti un atteggiamento di ostilità e rifiuto, ma si va oltre dichiarando che ha fatto ormai il suo tempo e che non può essere un fattore determinante rispetto allo sviluppo del futuro. Se la cultura moderna deve progredire, deve respingere completamente l’influenza del cristianesimo e rompere completamente con l’antica visione del mondo: dev’essere inaugurato un Kulturkampf al cui confronto quello di Bismarck contro i gesuiti fu un gioco da ragazzi!

Herman Bavinck
dal libro Filosofia della Rivelazione, Caltanissetta, Alfa & Omega, 2004, dal capitolo 10. Pubblicato con permesso concesso dall'editore. Copyright © Alfa & Omwega 2004. Tutti i diritti riservati.

Benché in linea di principio la religione cristiana non sia ostile alla cultura, ugualmente non si può negare che attribuisca soltanto un valore subordinato a tutti i beni di questa vita terrena. Il valore del mondo intero non è grande quanto quello della perfezione del regno dei cieli, del perdono dei peccati e della vita eterna nella comunione con Dio. Sotto questo aspetto, la religione cristiana si oppone frontalmente alla visione del mondo assunta dall’uomo moderno e non è né adatta né pronta al compromesso. È in gioco nientemeno che il bene supremo dell’uomo.

Perciò non solo il cristianesimo è accusato, oggi, di opporsi alla cultura del passato piuttosto che di approfondirla e di assumere nei suoi confronti un atteggiamento di ostilità e rifiuto, ma si va oltre dichiarando che ha fatto ormai il suo tempo e che non può essere un fattore determinante rispetto allo sviluppo del futuro. Se la cultura moderna deve progredire, deve respingere completamente l’influenza del cristianesimo e rompere completamente con l’antica visione del mondo: dev’essere inaugurato un Kulturkampf al cui confronto quello di Bismarck contro i gesuiti fu un gioco da ragazzi! Infatti – così si dice – il cristianesimo, nella sua essenza e, di conseguenza, in tutte le forme che ha adottato nelle sue diverse confessioni, è sempre rivolto al soprannaturale come l’eternità, il paradiso, Dio, ecc., garantisce ai credenti la vita nell’al di là (cosa che forse non avverrà mai) e rende gli uomini indifferenti a questa vita: non incita all’azione, ma raccomanda come virtù supreme la pazienza, la sopportazione, l’obbedienza e la rassegnazione. Il secolo attuale, al contrario, è completamente “di qua”: non crede più ad una realtà invisibile, ma fa conto soltanto di quella visibile e della dimensione temporale. Dopo la delusione causata dalla Rivoluzione francese, durante il regime napoleonico regnava in Europa un abbattimento profondo e generale, ma l’oppressione diede origine ad una reazione. Quando risuonò l’ora della libertà, l’umanità si destò ad una nuova vita e si mise all’opera con incredibile coraggio. La sua energia fu coronata dal successo e al tempo stesso fu aumentata da brillanti conquiste nel campo della scienza e della tecnica, nella società e nello stato. Le scoperte e le invenzioni, attraverso le loro applicazioni alla vita, mostrarono ciò che l’uomo potrebbe realizzare attraverso la sua abilità e la sua fatica. Nel giro di mezzo secolo l’umanità fu, per così dire, rigenerata e la faccia della terra fu rinnovata. Ciò che gli antenati delle epoche passate, ciò che persino la generazione che ci precedette non aveva osato nemmeno sognare o concepire, ora si realizzava concretamente. L’umanità rimaneva sbalordita davanti alle proprie creazioni.

Nella misura in cui cresceva nell’uomo la fiducia nelle proprie forze, la fiducia in Dio, la fede nei miracoli, la con sapevolezza dell’infelicità, l’urgenza della preghiera e il de siderio della redenzione diminuivano, almeno in molti ambienti. Kant aveva audacemente pronunciato l’espressione: «Du sollst, also du kannst» (devi, quindi puoi) e l’umanità che calcava la scena dell’Ottocento fece suo questo motto. Percependo in sé una necessità, una volontà, un potere ed un obbligo di riformare il mondo, sentiva risvegliarsi con questa passione la sua forza e un desiderio irresistibile di mettersi all’opera. L’uomo moderno non si sente più una creatura infelice che è decaduta dal suo destino originario, e non considera più la terra una valle di lacrime che si è sostituita al paradiso originario. Non può concepire niente di più straordinario di questo mondo bellissimo che si è evoluto dagli inizi più infimi ed ha raggiunto il suo supremo punto di sviluppo nell’uomo, che è grandioso e possente. Egli non è secondo la sua valutazione una semplice creatura, ma un creatore ed un redentore di se stesso e della società. Egli diventa sempre di più la provvidenza di se stesso ed egli è tale e tale diventa attraverso il proprio agire, infatti la sua opera è creazione. Grazie alla loro opera, gli uomini sono divini e diventano sempre più simili a Dio. L’operare dev’essere perciò il fondamento della religione e della morale, nonché dell’intera società moderna. Nei tempi passati, senza dubbio, sia al di fuori che dentro i confini del cristianesimo, il lavoro fu considerato qualcosa che aveva un grande valore morale, ma non c’era, tuttavia, nessun sistema morale che si fondasse su di esso, né da parte dei Greci, che disprezzavano il lavoro, né da parte dei cristiani, che consideravano la vita uno speciale momento di preparazione all’eternità, come non c’è nemmeno da parte dei nuovi moralisti, che ricavano la legge morale dall’argomento, cioè dall’imperativo categorico. Ma tra uomini come Ihering, Wundt, Höding, Paulsen, Spencer e Sidgwick vediamo l’etica diventare via via una branca della sociologia, che concepisce nel lavoro per se stessi e per gli altri la vocazione e il destino dell’uomo. Infatti, il lavoro riconcilia gli istinti egoistici e sociali e s’impossessa di tutta quanta la vita umana. Il lavoro è «il significato dell’esistenza».

Questo risveglio dell’energia umana si riflette nella visio ne del mondo che ora riceve la simpatia umana più viva. Sinora il mondo intero è stato fissato in concezioni assolute come la sostanza e l’essenza, lo spirito e la materia, l’anima e le facoltà, le idee e le norme. Ma ora tutto è cambiato, non c’è niente di solido, immutabile, stabile; non c’è alcuno status quo, ma soltanto un movimento eterno. La fisica e la chimica si smaterializzano e trovano le proprie basi nelle proporzioni matematiche pure; la psicologia ha fatto i conti con la sostanza e le facoltà della mente e prevede soltanto i fenomeni psichici; la logica, l’etica e l’estetica rinunciano a regolare delle norme fisse aprioristiche e cercano di fondarsi sulla psicologia e sulla sociologia. Negli ultimi anni, la concezione atomistica del mondo ha ceduto il passo a quella energetistica e l’assoluto non è più considerato un “essere”, ma soltanto un “divenire”: «La volontà è la vera sostanza del mondo». Se Cartesio pronunciò il suo «cogito ergo sum» come principio della filosofia, la nuova visione del mondo proclama il suo «moveo ergo fio»; “vivere” non è più “cogitare”, ma “velle”. In breve, la saggezza moderna si può riassumere in questo breve epigramma di Proudhon: «Affirmation du progrès, négation dell’absolu».

Come questa concezione del mondo risulta un precipitato della vita moderna, così a sua volta influenza tale vita e le dà direzione e norma. Il secolo in cui viviamo si distingue da tutti i secoli precedenti per la sua attività incessante, per il suo sfruttamento delle forze fisiche e psichiche, ma, al tempo stesso, anche per il suo sforzo di ottenere i massimi risultati possibili dal minimo dispendio di energia possibile. Le attività degli uomini si muovono nelle direzioni più divergenti e, in ogni momento, s’intrecciano in modo tale che nessuno può avere una chiara visione o darne una spiegazione completa. Eppure, sembra che tutta questa fatica, fatta di molteplici attività realizzate oggi dagli uomini sotto il sole, sia animata da un solo spirito, sia guidata da un solo proposito e sia utilizzabile ad un solo fine, ossia il miglioramento della razza umana. Tuttavia, anche se si vive oggi nel paese dell’abbondanza, sussiste in quel paese un anelito per una felicità più ricca e durevole. Questa vita terrena è fiduciosamente dichiarata l’unica dimora dell’uomo; eppure gli uomini vanno alla ricerca persino quaggiù di una dimora diversa e migliore. Non mancano perciò riformatori che riflettono seriamente sulle miserie di questa vita e raccomandano modi e mezzi non solo per la liberazione, ma per il perfezionamento dell’umanità.

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