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"Mediante la sua morte il peccato è stato tolto, mediante la sua risurrezione la giustizia è stata instaurata. Come avrebbe potuto liberarci dalla morte soccombendo ad essa? Come avrebbe potuto acquistarci la vittoria, se fosse stato sconfitto nel combattimento? Noi dunque attribuiamo la realtà della nostra salvezza in parte alla morte di Cristo ed in parte alla sua risurrezione e diciamo che, mediante la morte, è stato distrutto il peccato e la morte è stata cancellata; mediante la risurrezione la giustizia è stata stabilita e la vita ha ripreso il sopravvento; e questo in modo che la morte ha il suo significato in funzione della risurrezione" (Giovanni Calvino).

 

Estratto dall'Istituzione della religione cristiana di Giovanni Calvino, (II.xvi.13).

Segue la "risurrezione dai morti ", senza la quale quanto detto sin qui sarebbe imperfetto. Dato che nella croce, nella morte e nel seppellimento di Gesù Cristo non v'era che debolezza, bisogna che la fede vada oltre per essere appieno fortificata. Nella sua morte abbiamo certo il completo adempimento della salvezza, dato che per essa siamo riconciliati con Dio, la giusta condanna divina è stata soddisfatta, la maledizione è stata annullata e noi siamo stati liberati da tutte le pene che avremmo dovuto scontare: tuttavia non è affermato che in virtù della sua morte, ma piuttosto della sua risurrezione, siamo stati risuscitati ad una speranza viva (1 Pi. 1.3). Risuscitando si è dimostrato vincitore della morte, la vittoria della nostra fede è perciò basata sulla sua resurrezione.

Che cosa questo significhi è mostrato più chiaramente dalla asserzione di san Paolo secondo la quale egli è morto per i nostri peccati ed è risuscitato per la nostra giustificazione (Ro 4.25); il che equivale a dire che mediante la sua morte il peccato è stato tolto, mediante la sua risurrezione la giustizia è stata instaurata. Come avrebbe potuto liberarci dalla morte soccombendo ad essa? Come avrebbe potuto acquistarci la vittoria, se fosse stato sconfitto nel combattimento? Noi dunque attribuiamo la realtà della nostra salvezza in parte alla morte di Cristo ed in parte alla sua risurrezione e diciamo che, mediante la morte, è stato distrutto il peccato e la morte è stata cancellata; mediante la risurrezione la giustizia è stata stabilita e la vita ha ripreso il sopravvento; e questo in modo che la morte ha il suo significato in funzione della risurrezione.

Per questo motivo san Paolo ci insegna che Gesù Cristo è stato dichiarato figlio di Dio nella risurrezione (Ro 1.4). È allora infatti che ha manifestato la sua potenza celeste che costituisce uno specchio evidente della sua divinità e un fermo sostegno della nostra fede. In un altro passo dice che egli ha sofferto per la debolezza della carne ed è risuscitato per la potenza dello Spirito (2 Co. 13.4). Nello stesso senso, trattando il problema della perfezione dice: "Mi sforzo di conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione " (Fl. 3.10). Del resto aggiunge subito dopo che si sforza di essere fatto partecipe e associato alla morte di Cristo. Con questo concorda l'affermazione di san Pietro: Dio lo ha risuscitato dai morti e lo ha glorificato onde la nostra fede e la nostra speranza fossero radicate in Dio (1 Pi. 1.21). Non vuol dire che una fede basata sulla morte di Gesù Cristo zoppichi, ma che la potenza di Dio che ci conserva nella fede, si manifesta in modo particolarmente evidente nella risurrezione.

Ricordiamoci dunque che ogniqualvolta è fatta menzione della sola morte di Cristo vi è incluso anche quanto si riferisce alla risurrezione; e che d'altra parte altrettanto avviene quando e la sola risurrezione è menzionata, perché essa implica quanto si riferisce specialmente alla morte. Gesù Cristo risuscitando ha vinto la palma della vittoria per essere la risurrezione e la vita. Di conseguenza san Paolo ha ragione di sostenere che la fede sarebbe annientata e l'Evangelo non sarebbe che inganno e menzogna se non fossimo ben persuasi nei nostri cuori della risurrezione di Gesù Cristo (1 Co. 15.17). Per il qual motivo in un altro testo, dopo essersi gloriato della morte di Gesù Cristo contro il timore della dannazione, aggiunge che colui che è morto è anche risuscitato e compare davanti a Dio quale intercessore per noi (Ro 8.34).

Abbiamo dinanzi insegnato che la mortificazione della nostra carne dipende dalla partecipazione alla croce di Cristo. Bisogna anche rilevare che un frutto corrispondente proviene dalla sua risurrezione. Come dice l'Apostolo, siamo stati innestati nella similitudine della sua morte onde, fatti partecipi della sua risurrezione, camminassimo in novità di vita (Ro 6.4). Perciò in un altro passo, riflettendo al fatto che se siamo morti con Cristo dobbiamo mortificare le nostre membra terrene, afferma che se siamo resuscitati con Cristo dobbiamo cercare le cose celesti (Cl. 3.1-5). Con queste parole ci esorta ad una nuova vita, sull'esempio di Cristo risuscitato, e insegna anche che, per la sua potenza, possiamo essere rigenerati nella giustizia.

Il terzo vantaggio che ricaviamo da questa risurrezione è questo: rappresenta una caparra che ci rende più certi della nostra; la risurrezione di Cristo è il fondamento e la sostanza della nostra, come è insegnato diffusamente nella prima ai Corinzi.

Bisogna anche notare per inciso che egli è detto essere risuscitato "dai morti ": questa espressione sottolinea la realtà della sua morte e della sua risurrezione, come se fosse detto che ha sofferto la stessa morte degli altri uomini e ha ottenuto l'immortalità nella medesima carne mortale che aveva assunto.

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