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La vita del cristiano e gli argomenti tratti dalla Scrittura per esortarci ad essa (G. Calvino)

1. SCOPO della nostra rigenerazione, abbiamo detto, è che si scorga nella nostra vita una correlazione ed un accordo fra la giustizia di Dio e la nostra obbedienza e che, con questo mezzo, ratifichiamo l'adozione mediante la quale Dio ci ha accettati come suoi figli. Benché la legge di Dio contenga in se questa novità di vita per cui l'immagine di Dio è ricostituita in noi, tuttavia poiché la nostra lentezza ha bisogno di molti pungoli e aiuti, sarà utile cogliere, da vari passi della Scrittura, il modo per regolare bene la nostra vita affinché coloro che desiderano convertirsi a Dio non si smarriscano in pensieri erronei.

Accingendomi a tratteggiare la vita del cristiano, mi rendo conto di affrontare un argomento ampio e vario che potrebbe riempire un gran volume, se volessi trattarne esaurientemente. Sappiamo infatti quanto siano prolisse le esortazioni degli antichi Dottori, che pure affrontano soltanto alcune virtù particolari. Questo non deriva da chiacchiere troppo lunghe: qualunque virtù ci si proponga di lodare e di raccomandare, la vastità dell'argomento darà l'impressione di non averne discusso con correttezza se non si sarà impiegato un gran numero di parole.

Non è mia intenzione dilatare l'insegnamento di vita che intendo dare, al punto da trattare di ogni singola virtù facendo lunghe esortazioni. Questo potrà essere ricavato dai libri degli altri, e in particolare dalle omelie degli antichi Dottori, cioè dalle loro prediche popolari. Mi basterà indicare un certo ordine, in base al quale il cristiano sia condotto e rivolto al retto fine di orientare bene la sua vita. Mi accontenterò, ripeto, di indicare brevemente una regola generale a cui egli possa riferire tutte le sue azioni. Avremo forse talvolta l'occasione di trarre delle deduzioni simili a quelle reperibili nelle prediche degli antichi Dottori: l'opera che abbiamo in mano richiede che includiamo un insegnamento semplice e per quanto possibile breve.

 

Come i filosofi hanno alcuni princìpi generali di onestà e dirittura da cui deducono compiti particolari e tutti gli atti di virtù, così la Scrittura, a questo proposito, ha un suo modo di procedere, migliore e più sicuro di quello dei filosofi. La differenza è che costoro, pieni di ambizione, hanno ricercato con cura un'apparenza per quanto possibile degna di considerazione, per dar lustro al criterio e alla disposizione di cui si servivano, onde evidenziare la loro finezza di spirito. Al contrario lo Spirito Santo, insegnando senza esigenze formali, non si è attenuto sempre, e in modo cosi rigoroso, ad un certo ordine e metodo; dato però che talvolta se ne serve, ci indica che non lo dobbiamo disprezzare.

2. L'ordine della Scrittura, di cui parliamo, consta di due elementi: imprimere nei nostri cuori l'amore della giustizia, cui non siamo affatto inclini per natura; fornirci una norma sicura che ci impedisca di errare qua e là, o smarrirci nel tentativo di dare un indirizzo alla nostra vita.

Riguardo al primo punto, la Scrittura ha numerosi e ottimi argomenti per disporre il nostro cuore ad amare il bene: ne abbiamo sottolineati parecchi in vari passi, e ne esamineremo ancora alcuni. Quale migliore punto di partenza ci poteva essere proposto dell'invito ad essere santi in quanto il nostro Dio è santo (Le 19.2; 1 Pi. .1.16) aggiungendo che, quando eravamo come pecore disperse nel labirinto di questo mondo, egli ci ha raccolti per riunirci a sé? Quando udiamo menzionare l'unione di Dio con noi, dobbiamo ricordarci che il legame di essa è la santità. Non che per merito della nostra santità noi giungiamo alla comunione Cl. nostro Dio, visto che ci è necessario, prima di esser santi, aderire a lui affinché spanda la sua santità su noi perché lo seguiamo là dove egli ci chiama; ma, dato che l'astenersi dall'iniquità e dalle cose immonde è inerente alla sua gloria, dobbiamo assomigliargli, poiché siamo suoi.

Pertanto la Scrittura ci insegna che questo esser santi è il fine della nostra vocazione, a cui dobbiamo sempre guardare se vogliamo rispondere al nostro Dio. Infatti perché essere liberati dalla sozzura e corruzione in cui eravamo immersi, per poi rotolarci in essa tutta la vita? La Scrittura ci ricorda altresì che se vogliamo far parte del popolo di Dio dobbiamo abitare a Gerusalemme, sua città santa. Avendola egli consacrata e dedicata al suo onore, non è lecito che sia contaminata e corrotta da abitanti impuri e profani. Ne derivano le promesse secondo cui chi camminerà senza macchia e si sforzerà di vivere correttamente, abiterà nel tabernacolo del Signore (Sl. 24.3; 15.2; Is. 35.8) , poiché non si addice al santuario nel quale abita essere insozzato come una stalla.

3. Anzi, per spronarci maggiormente, la Scrittura ci dice che non solo Dio si è riconciliato con noi nel suo Cristo, ma ci ha dato in lui un esempio e modello al quale ci dobbiamo attenere (Ro 6.18).

Coloro che pensano che solo i filosofi hanno affrontato in modo corretto e adeguato il problema morale, mi indichino, nei libri di costoro, un criterio altrettanto valido quanto quello enunciato più sopra. Quando ci vogliono esortare alla virtù, con tutto il loro potere, non sanno dire altro, se non che dobbiamo vivere in armonia con la natura. La Scrittura ci fornisce ben altra motivazione quando non solo ci ordina di riferire tutta la nostra vita a Dio, che ne è l'autore ma, dopo averci avvertiti che abbiamo degenerato dalla vera origine della nostra creazione, aggiunge che Cristo, riconciliandoci con Dio suo padre, ci è dato come esempio di innocenza, la cui immagine deve essere rappresentata nella nostra vita. Che si potrebbe dire di più radicale ed efficace? Anzi, che cos'altro si richiederebbe? Poiché se Dio ci adotta come suoi figli a condizione che l'immagine di Cristo appaia nella nostra vita, se non ci diamo alla giustizia e alla santificazione, non solo abbandoniamo il nostro Creatore in modo veramente sleale, ma anche lo rifiutiamo come salvatore. Di conseguenza la Scrittura prende spunto da tutti i benefici di Dio e da tutte le componenti della nostra salvezza per esortarci dicendo: "Poiché Dio si è dato a noi come Padre, siamo dà rimproverare per vile ingratitudine se non ci comportiamo come suoi figli " (Ma.1.6; Ef. 5.1; 1 Gv. 3.1). "Poiché Cristo ci ha purificati Cl. lavacro del suo sangue e ci ha trasmesso questa purificazione per mezzo del battesimo, non c'è motivo che ci sporchiamo di altra immondizia " (Ef. 5.26; Eb. 10.10; 1 Co. 6.2; 1 Pi. .1.15e 19). "Poiché ci ha associati e innestati sul suo corpo, dobbiamo guardarci con cura dal contaminarci in qualunque modo, visto che siamo sue membra " (1 Co. 6.15; Gv. 15.3; Ef. 5.23). "Poiché colui che è nostro Capo è salito al cielo, dobbiamo abbandonare ogni terrena disposizione d'animo, per aspirare con tutto il nostro cuore alla vita celeste " (Cl. 3.1). "Poiché lo Spirito Santo ci consacra per essere templi di Dio, dobbiamo far sì che la gloria di Dio sia esaltata in noi e guardarci dal ricevere qualunque impurità " (1 Co. 3.16e 6.19; 2 Co. 6.16). "Poiché la nostra anima ed il nostro corpo sono destinati all'immortalità del regno di Dio e alla corona incorruttibile della sua gloria, dobbiamo sforzarci di conservare l'uno e l'altro puri ed immacolati fino al giorno del Signore " (1 Ts. 5.23).

Sono queste motivazioni adatte a ben indirizzare la nostra vita; non se ne troveranno di simili presso i filosofi. Essi infatti non vanno mai oltre la menzione della dignità naturale dell'uomo, quando si tratta di indicargli qual sia il suo dovere.

4. Devo qui rivolgermi a coloro che, non avendo nulla di Cristo all'infuori del nome, vogliono tuttavia essere ritenuti cristiani. Come ardiscono gloriarsi del suo santo nome, se nessuno ha familiarità con lui, all'infuori di chi l'ha conosciuto rettamente per mezzo della parola dell'Evangelo? San Paolo nega che un uomo abbia ricevuto una retta conoscenza di Cristo, senza aver imparato a spogliarsi dell'uomo vecchio che si corrompe in desideri disordinati, per essere rivestito da Cristo (Ef. 4.22-24).

È dunque chiaro che questo tipo di persone pretende ingiustamente di conoscere Cristo; così facendo gli reca grande ingiuria, per quante belle chiacchiere abbiano sulla lingua. Poiché l'Evangelo non è una dottrina, ma una vita; non deve essere capito solo dalla ragione e dalla memoria, come le altre discipline, ma deve possedere l'anima intera, ed avere sede e adesione nel profondo del cuore: altrimenti non è ben ricevuto. Perciò, o cessano di vantarsi, con gran disprezzo per Dio, di essere quel che non sono, oppure dimostrino di essere discepoli di Cristo.

Abbiamo sì dato il primo posto all'insegnamento, in materia di religione, in quanto esso è l'inizio della nostra salvezza; ma per essere utile e fruttuoso, esso deve penetrare completamente all'interno del cuore, e palesare la sua potenza nella nostra vita, anzi trasformarci secondo la sua natura. Se i filosofi hanno buone ragioni per adirarsi contro coloro che fanno professione della loro arte, che definiscono maestra di vita, e tuttavia la trasformano in un chiacchierio da sofisti, quanto più abbiamo ragione di essere insofferenti verso quei chiacchieroni che si accontentano di avere in bocca l'Evangelo, disprezzandolo con la loro vita intera, visto che la sua efficacia dovrebbe penetrare nel profondo del cuore, essere radicata nell'anima centomila volte più di tutte le esortazioni filosofiche, che in confronto non hanno grande peso.

5. Non richiedo che la condotta del cristiano sia Evangelo puro e perfetto, sebbene ciò sia da desiderare e ci si debba sforzare in tal senso; né richiedo una perfezione evangelica in modo così rigoroso da non voler riconoscere per cristiano se non chi l'abbia raggiunta. Infatti in tal modo tutti gli uomini del mondo sarebbero esclusi dalla Chiesa, visto che non se ne troverà uno che non ne sia ancora molto lontano, anche se ha tratto buon profitto, e la maggior parte non è ancora molto avanti: non per questo bisogna respingerli.

Che dunque? Certo dobbiamo avere questo fine davanti agli occhi, e tutte le nostre azioni devono essere regolate su di esso: tendere alla perfezione che Dio ci ordina. Dobbiamo, ripeto, sforzarci e aspirare a tanto. Non ci è lecito fare a metà con Dio, accogliendo una parte di quel che ci è ordinato nella sua Parola, e tralasciando l'altra a nostro piacimento. Poiché ci raccomanda sempre, anzitutto, l'integrità, termine con cui indica una pura semplicità di cuore, libera e netta da ogni finzione, opposta alla doppiezza d'animo. La regola fondamentale del ben vivere procede dallo Spirito, quando cioè la disposizione interiore dell'anima si dà a Dio senza finzione, per camminare in giustizia e santità. Ma poiché, mentre viviamo in questa prigione terrena, nessuno di noi è così forte e ben disposto da impegnarsi in questa corsa con la dovuta prontezza, anzi la maggior parte è così debole che vacilla e zoppica, tanto da non poter progredire molto, andiamo avanti ognuno secondo le sue possibilità, e non cessiamo di proseguire la strada intrapresa. Nessuno camminerà così poco da non avanzare un po', ogni giorno, per guadagnar terreno.

Sforziamoci dunque di progredire costantemente nella via del Signore; non perdiamo coraggio, anche se i progressi sono minimi. Anche se la realtà non corrisponde al nostro desiderio, pure non tutto è perso quando l'oggi segna un progresso su ieri.

Guardiamo la nostra meta con pura e retta semplicità e sforziamoci di giungere al nostro fine, senza ingannarci con vane lusinghe e senza indulgere ai nostri peccati, ma sforzandoci di diventare di giorno in giorno migliori di quanto siamo, fino al raggiungimento della bontà assoluta, che dobbiamo cercare e perseguire per tutto il tempo della nostra vita, per possederla quando, spogliati dall'infermità della nostra carne, ne saremo fatti pienamente partecipi: quando cioè Dio ci riceverà nella sua compagnia.

Estratto da Giovanni Calvino, Istituzione della religione cristiana, III.iv, Torino, UTET, 1971, pp. 828-834

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