di N. Ulfo
Ultimamente, grazie alla passione di mio fratello e alla trovata (o ritrovata) amicizia con alcuni tenori, sto prestando un po' di attenzione in più al "bel canto" e così ho notato e riflettuto sulla notizia della prematura e tragica scomparsa di Salvatore Licitra, tenore siciliano considerato l'erede di Pavarotti e sicuramente una delle voci più belle e promettenti del panorama artistico contemporaneo. Licitra si è spento all'età di 43 anni, in seguito a un'ischemia cerebrale che lo ha fatto cadere dalla moto che stava guidando. Così, in pochi giorni, proprio quando la carriera prometteva di essere in rapida ascesa, dopo tanto lavoro, tante speranze, tanti progetti, quando era giunto il momento di mietere abbondantemente ciò che si era seminato per tanti anni, "le figlie del canto" tacciono, "quelli che guardano alla finestra" si sono oscurati "il cordone d'argento" si è staccato, "il vaso d'oro" si è spezzato, la polvere è tornata alla terra (cfr. Ecc.12).
Leggendo qualcosa della sua vita ho appreso che il talento naturale, la passione, lo studio diligente e serio, sono stati "aiutati" da alcune contingenze del tutto inattese. Immigrato in Svizzera e poi "al Nord", aveva cominciato come corista alla Scala di Milano, ma il vero "salto" alla notorietà lo ebbe grazie ad una circostanza piuttosto fortuita, quando, il 12 maggio del 2002, poté esibirsi cantando la Tosca al Metropolitan di New York grazie a un'improvvisa (e provvidenziale) indisposizione di Luciano Pavarotti. Talento, disciplina, "fortuna", l'età giusta... Chi bazzica l'ambiente della lirica sa che questi sono gli elementi indispensabili per il successo. Eppure... che peccato! La voce che, tra vent'anni si sarebbe potuta celebrare come quella di un altro dei grandi tenori che l'Italia ha dato al mondo, adesso tace.
di N. Ulfo
Ultimamente, grazie alla passione di mio fratello e alla trovata (o ritrovata) amicizia con alcuni tenori, sto prestando un po' di attenzione in più al "bel canto" e così ho notato e riflettuto sulla notizia della prematura e tragica scomparsa di Salvatore Licitra, tenore siciliano considerato l'erede di Pavarotti e sicuramente una delle voci più belle e promettenti del panorama artistico contemporaneo. Licitra si è spento all'età di 43 anni, in seguito a un'ischemia cerebrale che lo ha fatto cadere dalla moto che stava guidando. Così, in pochi giorni, proprio quando la carriera prometteva di essere in rapida ascesa, dopo tanto lavoro, tante speranze, tanti progetti, quando era giunto il momento di mietere abbondantemente ciò che si era seminato per tanti anni, "le figlie del canto" tacciono, "quelli che guardano alla finestra" si sono oscurati "il cordone d'argento" si è staccato, "il vaso d'oro" si è spezzato, la polvere è tornata alla terra (cfr. Ecc.12).
Leggendo qualcosa della sua vita ho appreso che il talento naturale, la passione, lo studio diligente e serio, sono stati "aiutati" da alcune contingenze del tutto inattese. Immigrato in Svizzera e poi "al Nord", aveva cominciato come corista alla Scala di Milano, ma il vero "salto" alla notorietà lo ebbe grazie ad una circostanza piuttosto fortuita, quando, il 12 maggio del 2002, poté esibirsi cantando la Tosca al Metropolitan di New York grazie a un'improvvisa (e provvidenziale) indisposizione di Luciano Pavarotti. Talento, disciplina, "fortuna", l'età giusta... Chi bazzica l'ambiente della lirica sa che questi sono gli elementi indispensabili per il successo. Eppure... che peccato! La voce che, tra vent'anni si sarebbe potuta celebrare come quella di un altro dei grandi tenori che l'Italia ha dato al mondo, adesso tace.
Leggendo la notizia mi sono ricordato di Ecclesiaste 9:11 «per correre non basta essere agili... né essere abili per ottenere favore, poiché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze». Il corso di una vita intera e tante energie e tempo investiti possono essere perduti per sempre da eventi che sono al di là del nostro controllo. È fatalismo questo? No! Semplice realtà! Come dovremmo vivere allora? Nell'inedia o "col motore al minimo" perché "tanto, tutto finisce"? No! Siamo fatti per mettere tutte le nostre energie nel seguire la nostra vocazione e, così, glorificare Dio, "sia che mangiamo, sia che beviamo [sia che cantiamo!] sia che facciamo qualunque altra cosa, perché lo stesso Ecclesiaste ci dice: «tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze» (Ecc. 9:10). Vivremo nella paura continua che la spada di Damocle spezzi il crine e ci trafigga il capo? No! Perché quel crine sarà più resistente di un cavo d'acciaio fino a quando la mano di Dio non lo reciderà!
E allora? Come vivremo in questo mondo dove tutto può cambiare così repentinamente e dove i nostri più bei progetti possono infrangersi contro il muro dell'ineluttabile? La risposta viene sempre dall'Ecclesiaste: «temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo» (12:15).
Vivete per la gloria di Dio, giorno per giorno; lavorate con tutte le vostre forze per raggiunge l'eccellenza nella vostra vocazione, amate Dio con tutto il vostro cuore, l'anima, la mente e la forza desideranndo e perseguendo la santità in tutta la vostra condotta. E amate il prossimo come voi stessi, mettendo al servizio degli altri i doni che Dio vi ha dato e che dovete curare diligentemente, vivete per dare gioia al vostro prossimo impegnandovi al massimo per il bene altrui!
La lunga vita, i grandi talenti, le cose eccelse agli occhi gli uomini, davanti a Dio contano nulla.
E se non dovessimo farcela? E se il nostro impegno non dovesse produrre i risultatati sperati? Preoccupatevi di essere VIVI - spiritualmente vivi - perché «un cane vivo vale meglio di un leone morto» (Ecc. 9:4)... Se poi, mentre sarete VIVI - spiritualmente vivi - Dio vi concederà di essere dei leoni... Beh, saremo felicissimi di sentirvi ruggire!