La potenza della preghiera

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Le missioni (26) - di Paul David Washer

 

«Voi dunque pregate così: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra» (Matteo 6:9-10)

«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa» (Matteo 7:7-8)

Quanto esposto fino a questo punto, ha avuto l’obiettivo di illustrare e sottolineare la necessità del missionario di essere saldamente ancorato alle Scritture e le dottrine più importanti della fede cristiana. I lettori sono spesso stati esortati non solo a confidare indubbiamente nella infallibilità delle Scritture, ma anche a fondare la propria vita e il proprio ministero nella convinzione che esse siano sufficienti. Non sono necessari schemi pragmatici, spesso decisamente anti-biblici, né tantomeno delle strategie che spopolano senza freno nell’evangelicalismo occidentale dei giorni nostri e nei suoi sforzi missionari; ciò di cui si ha realmente bisogno è semplicemente di conformare ciascuna attività ai dettami e ai parametri della Parola di Dio.

 

La necessità della preghiera

Una volta definito il contesto, è bene rivolgere la nostra attenzione all’assoluta necessità della preghiera per la vita di un missionario. La preghiera è il complemento più importante da associare alla conoscenza biblica e senza di essa il missionario, la sua predicazione e i suoi sforzi saranno deboli e decisamente di breve durata. Ciascuna conquista della chiesa negli ultimi duemila anni è nata, cresciuta e maturata grazie alla preghiera; l’elemento che accomuna tutti i grandi missionari della storia della chiesa, è senza dubbio identificato nella loro intensa e incessante devozione a Dio in preghiera.

Non si porrà mai abbastanza enfasi sull’importanza della preghiera per gli sforzi missionari; un’idea la si può avere se si considera che l’opera globale delle missioni sarebbe assolutamente impossibile se non fosse sostenuta dalla potenza di Dio. L’apostolo Giovanni ci dice che il mondo intero “giace sotto il potere del maligno”1 e perciò sarebbe più semplice sollevare il Monte Everest e scagliarlo in mezzo al mare, che sottrarre al dominio di Satana un solo centimetro quadrato del suo regno con le sole nostre forze. Egli si beffa delle nostre infinite strategie e ride dinanzi ai nostri piani ingegnosi, ma ogni qual volta qualcuno si sottomette alla Scrittura e consuma le proprie ginocchia in preghiera, tutto l’inferno trema.

Tutti i credenti, le chiese, le società missionarie e le istituzioni insieme non sono in grado di conquistare una sola anima. Le nostre conferenze, le nostre campagne e il desiderio di sacrificare la nostra vita non possono fare avanzare di un millimetro il regno di Dio. Perfino se non ci fosse il diavolo, la corruzione assoluta del cuore dell’uomo renderebbe vani tutti i nostri ridicoli sforzi. Il mondo corrotto e le anime perdute sono come Gerico: sono serrati, nessuno vi può entrare, né uscire2. Vi possiamo marciare attorno fino ad essere totalmente esausti, possiamo alzare la voce e soffiare nelle nostre trombe fino a perdere il fiato; possiamo scagliarci contro le mura fino a devastare i nostri corpi e non essere più in grado di muoverci, ma le mura non cadranno in virtù di un qualche sforzo umano. È necessario il potere di Dio. Egli farà crollare le mura con un minimo gesto e in pochi secondi porterà a termine ciò che noi non saremmo in grado di compiere nemmeno in diecimila eternità.

La maggior parte dei cristiani, se non addirittura tutti, condividerebbe senza troppe remore ciò che è stato appena affermato in merito all’importanza della preghiera. E allora perché i ministri e i missionari ammettono apertamente di pregare così poco? Questa realtà lascia particolarmente perplessi quando si realizza che molti di coloro che lamentano una mancanza nella preghiera sono uomini e donne autenticamente chiamati da Dio, che amano il Signore e desiderano genuinamente vedere il suo regno avanzare in tutte le nazioni. Per quale ragione, allora, ciascuno di noi trascura così spesso la preghiera? Sebbene ci siano molte più motivazioni di quelle che verranno qui trattate, se ne prenderanno in considerazione solo alcune tra le più ovvie e palesi.

La negligenza nella preghiera

La causa principale della negligenza nel pregare è la comprensione superficiale dell’impossibilità di portare a termine il compito che ci è affidato, la quale è a sua volta frutto diretto di una teologia scarna, povera e malata. Non solo sembra che ci manchi la consapevolezza del potere del nostro nemico, ma anche, e soprattutto, pare proprio che si trascuri il grado di corruzione del cuore dell’uomo. Le nazioni che non sono state ancora raggiunte non sono solamente ignoranti in merito a tutto ciò che riguarda Dio, così che basti un po’ di informazione a riguardo per curarle; e nemmeno esse sono alla ricerca di Dio così che l’unico loro bisogno sia orientarle nella giusta direzione. Le nazioni, come gli uomini e le donne che le popolano, sono moralmente depravate, ostili a Dio e saranno insensibili a qualunque araldo del Vangelo si rivolgerà a loro a meno dell’intervento soprannaturale e diretto di Dio3. Dio soltanto è in grado di cambiare il cuore dell’uomo e far avanzare la propria causa. Senza il suo intervento, il nostro sforzo di abbattere il muro di ferro del peccato che circonda le nazioni è paragonabile a un minuscolo moscerino che prende a testate un’immensa parete di granito massiccio. Per questa ragione, all’inizio, nel mezzo e alla fine dei nostri impegni missionari, dobbiamo costantemente, inesorabilmente e incessantemente ricercare l’intervento di Dio in preghiera.

In secondo luogo, un potente nemico della preghiera è senza dubbio l’incredulità. Crediamo realmente nella nostra assoluta impossibilità di conquistare una sola dei sette miliardi di anime che attualmente vivono sul nostro pianeta? Crediamo veramente che Dio possa “fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo”4? Crediamo davvero che la preghiera sia assolutamente essenziale e che costituisca il motore della nostra vita e il carburante che alimenta le nostre attività? Per rispondere a queste domande, non dobbiamo rifarci alla nostra teologia personale perché spesso affermiamo verità con la nostra mente che poi non mettiamo in pratica con il nostro cuore; né dovremmo rispondere appellandoci ai nostri sentimenti perché potremmo perfino essere convinti di pregare, quando in realtà non lo stiamo realmente facendo. Per trovare una risposta sincera a questa domanda, dobbiamo far riferimento alle nostre azioni quotidiane. Quanto tempo dedichiamo alla preghiera? Quanto spesso ricorriamo alla preghiera come prima risorsa5? Se creassimo un grafico mettendo in relazione il nostro tempo in preghiera e quello speso nel portare a termine qualsiasi altra attività, da questo si evincerebbe che siamo una generazione di non credenti?

In terzo luogo, la nostra natura corrotta è una delle più ostili nemesi della preghiera. La carne, infatti, probabilmente detesta la preghiera perfino di più di quanto odi studiare la Parola di Dio. Per lo meno grazie allo studio la carne può crescere in conoscenza, ma in preghiera, non ha nulla di cui vantarsi. Attraverso lo studio, si può diventare celebri per la propria cultura, la propria erudizione ed eloquenza, ma la preghiera è una pratica intima, che avviene in segreto e richiede di lasciare fuori dalla porta i propri meriti e le proprie qualità personali. La preghiera autentica è una rinuncia della carne e del suo potere; in preghiera, nel segreto della propria cameretta, perfino l’uomo più valente non può che riconoscere che “la carne non è di alcuna utilità”6 e che nulla è “per potenza, né per forza, ma per lo Spirito” di Dio7

In quarto luogo, la pigrizia spirituale e fisica costituisce una delle cause più importanti della negligenza nella preghiera. Non prendiamoci in giro, l’intercessione è un duro lavoro, perfino per i più devoti. È un grosso inganno credere che quei cristiani che sono riusciti ad appartare del tempo per pregare, lo abbiano fatto perché sia stato per loro particolarmente semplice. Spesso pensiamo che coloro che sono devoti allo studio della Bibbia lo facciano in virtù di un qualche dono speciale o per una naturale inclinazione in grado di rendere loro il compito più semplice di quanto sia per tutti gli altri. Eppure, la ragione principale che giace dietro una simile devozione, e che invece probabilmente manca a noi, è l’aver riconosciuto il bisogno indispensabile di questo genere di attività e la risoluzione nel lottare per vincere la pigrizia spirituale che incatena molti di noi. È decisamente liberatorio realizzare che le discipline spirituali come lo studio della Bibbia e l’intercessione in preghiera sono attività impegnative per chiunque, anche per i santi più maturi e dotati, perché dimostra che l’apatia nei confronti della preghiera può essere sconfitta e superata.

In quinto luogo, il pragmatismo che ha invaso l’occidente è contrario alla preghiera. Il pragmatismo è fondamentalmente una visione del mondo che determina il valore o la correttezza di qualcosa sulla base del suo successo apparente. Nella chiesa occidentale, il pragmatismo si manifesta nella tendenza ad adottare delle strategie che puntano a produrre risultati positivi per altre chiese o ministeri, senza riguardi al fatto che queste tecniche abbiano un fondamento scarsamente o per nulla biblico o che siano perfino in netto contrasto con le Scritture. La chiesa occidentale è letteralmente sommersa da libri, conferenze e materiale multimediale che propongono schemi o tattiche innovative atte a far crescere la chiesa e evangelizzare il mondo. Una delle evidenze più significative dell’inefficacia di questo genere di programmi e strategie la si trova nella loro temporaneità; quella stessa strategia che oggi prende d’assalto il cristianesimo e diventa popolare in poco tempo, domani viene sostituita da un’altra tecnica giudicata migliore. È forse possibile che questa preoccupazione nel trovare l’ultima strategia adatta alla crescita della chiesa e delle missioni sia il risultato dell’ignoranza della chiesa nei confronti della Scrittura e che manifesti piuttosto un’avversione carnale al duro compito della preghiera e della predicazione?

In sesto luogo, troviamo il gemello malvagio del pragmatismo, ovvero la frenesia. Molti pastori, evangelisti, missionari e credenti da ogni parte del mondo si trovano a confessare di essere semplicemente troppo impegnati per pregare. In effetti, sembra quasi che siamo disposti ad esaurirci per la causa del Vangelo svolgendo qualsiasi genere di attività eccetto quelle che è stato espressamente ordinato di fare da Cristo, ovvero dimorare nella Parola di Dio e nella preghiera8. Dio richiede un sacrificio che non siamo disposti a fare (ovvero pregare), e pur di assecondare questa nostra inclinazione malvagia ci affanniamo a riempire lo spazio ad esso dedicato con mille altri impegni. Faremmo bene a ricordare che “’ubbidire è meglio del sacrificio”9, e che “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”10.

In settimo e ultimo luogo, infine, il diavolo è il più acerrimo nemico della preghiera. Egli sarebbe disposto a concederci ore e ore di studio senza alcuna fatica, a farci leggere un’infinità di libri e a permetterci di offrire tutte le nostre energie in favore del ministero, pur di tenerci lontani dal pregare. Il diavolo è perfettamente consapevole che possiamo tutto in Cristo, il quale è colui che ci fortifica11 e che senza di lui non possiamo fare nulla12; egli sa che Cristo ci ha scelti e ci ha incaricati di andare nel mondo e portare frutto, ed è conscio del fatto che questo frutto dipende dalla nostra intercessione al Padre nel nome di Cristo13. Per questa ragione Satana opera costantemente per far sì che dimentichiamo la nostra impotenza e per accecarci affinché non vediamo l’infinita potenza di Dio e la sua volontà a fare abbondantemente al di là di ciò che chiediamo o immaginiamo14. Non dobbiamo mai dimenticare che ciascun missionario è inviato nel mondo come una pecora in mezzo ai lupi15. Non importa quanto le pecore si preparino alla battaglia, quanto siano desiderose di sacrificarsi o quanto vigili restino, non sarebbero in grado di sventare nemmeno il più debole attacco da parte del più malaticcio dei lupi. L’unica speranza delle pecore è che il Buon Pastore oda i loro belati e corra a soccorrerle.


NOTE

1 1 Giovanni 5:19

2 Giosuè 6:1

3 Romani 1:18-32; 3:10-18

4 Efesini 3:20

5 Questa domanda nasce dalla comune modo di dire: “Non resta altro da fare che pregare”, come se la preghiera fosse l'ultima risorsa invece della prima risorsa.

6 Giovanni 6:63

7 Zaccaria 4:6

8 Giovanni 15:7 – “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto”. Giovanni 15:16 – “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia.” Notate la diretta relazione che esiste tra il dimorare nella Parole e nella preghiera in Giovanni 15:7 e il rapporto diretto tra la sovranità di Dio, il dare frutto e la preghiera in Giovanni 15:16.

9 I Samuele 15:22

10 Salmi 127:1

11 Filippesi 4:13

12 Giovanni 15:5

13 Giovanni 15:16

14 Efesini 3:20

15 Matteo 10:16